Ecco l’autunno: quali trattamenti possiamo fare per proteggere le piante grasse e ridurre le perdite?

Con l’inizio dell’autunno quasi tutte le piante grasse cominciano a prepararsi alla stasi vegetativa che si protrarrà fino a febbraio/marzo. Nei mesi invernali, i cactus (salvo qualche eccezione come Melocactus, Discocactus e le epifite come gli Epiphyllum) e moltissime succulente (fatta eccezione per quelle originarie dell’emisfero australe o di aree come il Madagascar) bloccano la crescita e vanno in riposo per recuperare le energie e poter fiorire durante la stagione successiva. In questi mesi le piante vanno tenute al freddo e non vanno annaffiate. E’ tuttavia utile effettuare qualche trattamento preventivo per evitare che, complice l’umidità invernale, durante questi mesi si formino muffe o funghi che al primo rialzo della temperatura, attivandosi, inneschino il marciume. Attenzione: i trattamenti preventivi con prodotti chimici possono essere utili ma non vanno per forza effettuati. Si tratta semplicemente di una misura di prevenzione, dal momento che la migliore forma di difesa resta sempre la coltivazione spartana delle piante accompagnata da un buon ricambio di aria nel corso dell’autunno e dell’inverno. Ci sono coltivatori che limitano all’essenziale questi trattamenti, magari privilegiando prodotti a basso impatto ambientale (io stesso ho adottato questa decisione da anni) e coltivatori che abusano dei prodotti chimici nella speranza di rendere così le loro piante invulnerabili rispetto a parassiti animali, funghi e muffe.

In questo articolo, che completa quanto già esposto in altri articoli (che troverete grazie ai link interni) vediamo cosa è consigliabile fare in queste settimane per proteggere le piante e limitare al massimo le perdite per marciume o a causa di parassiti. (…)

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Come coltivare i cactus: il vademecum con le 10 cose che devi assolutamente sapere per evitare errori

Sole pieno? Ma che ne vuoi sapere, la finestra sul pianerottolo basta e avanza! Terriccio? Io lo compro pronto al supermercato, è perfetto. I vasi? Più piccoli sono e meglio è: guai a lasciare più di mezzo centimetro tra la pianta e il bordo… E via così, a suon di amenità, false convinzioni, “sentito dire” che assurge rapidamente a dogma perché… perché l’ha detto il tizio là su Facebook e quello si capisce subito che è uno che se ne intende perché ha le luci giuste e il montaggio pare gliel’abbia fatto Kubrick. Battute a parte, quante fesserie tocca ancora oggi sentire riguardo alla coltivazione dei cactus? Quanti “influencer” improvvisati cavalcano la cresta dei social sospinti dal Maestrale dei like (già, i like, che in gergo vengon detti “le metriche della vanità”…) e, forti per l’appunto di legioni di followers e pollicioni in su, ammanniscono lezioni e conferenze ammiccando dai monitor, svelandovi “5 trucchi fantastici che non conosci sui cactus” o “come passare dal seme alla pianta in fiore in 35 secondi netti”. Oppure, con atteggiamento a metà tra il cospiratorio e l’aummaumma dello sgamato imbonitore, ti promettono di insegnarti tutto ma proprio tutto sulla coltivazione di queste splendide piante (solitamente declinate a elemento d’arredo anche grazie a vezzeggiativi quali “ciccette”, “grassine”, grassottelle” e avanti così con tutto ciò che veste bene i lipidi). Poi, magari, scava scava, scopri che l’influencer di turno coltiva cactus da 2 o 3 anni – regalo di nonna -, li tiene accanto al pc o al televisore (“sai, assorbono i raggi magnetici”), non distingue una Rebutia da una Begonia e non s’è mai preso/a la briga di sfogliare un qualsiasi libro su cactacee e succulente. Tanto c’è il web, no? Ci sono gli influencer anche per le piante, no? No. Ci sono personaggi simpatici e preparati, ci sono bei faccini che qualcosa sanno, ma c’è anche tanta fuffa (perdonate il termine da vecchio cronista). Tante informazioni sbagliate, tanta confusione e tanta impreparazione.

Allora, senza alcuna velleità di offrirvi con questo articolo “Il Verbo”, ecco un vademecum, un elenco di dieci cose che dovete sapere (o dovreste già sapere!) se volete coltivare davvero al meglio i vostri cactus. Senza trucchi né inganni: qui siamo ai fondamentali, suvvia. Ma senza questi non si va da nessuna parte. E sono convinto che anche chi, scorrendo i 10 punti dirà dieci volte “ah sì, lo so”, troverà in questo vademecum uno strumento utile per ripassare, porsi qualche domanda in più e spingersi a migliorare. E state tranquilli, quanto segue non arriva dal web, ma da 30 anni di esperienza sul campo, di esperimenti e fallimenti, dal confronto con coltivatori e studiosi ben più esperti di me e dalla lettura di qualche dozzina di manuali in italiano, inglese, francese, spagnolo (e pure tedesco, sebbene in quel caso, lo confesso, mi sono limitato a fotografie e didascalie, non conoscendo il teutonico idioma!) (…)

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Astrophytum asterias gravemente disidratati: ecco un tentativo di salvataggio con… l’idrocoltura!

E’ possibile coltivare i cactus con la tecnica dell’idrocoltura? L’idrocoltura può essere usata temporaneamente per stimolare la radicazione di un cactus o di una pianta grassa in sofferenza? E’ quello che vediamo in questo articolo, che non è altro se non la descrizione di un esperimento che ho condotto su un cactus privo di radici.

Idrocoltura e piante grasse suonano, per certi versi, al pari di un ossimoro concettuale. Piante che si sono naturalmente evolute per far fronte alla siccità, a piogge concentrate in brevi periodi dell’anno; piante che crescono in suoli estremamente aridi, insomma, come possono andare d’accordo con l’idrocoltura? Come possono, in altre parole, essere coltivate con una tecnica che prevede che le radici siano costantemente a contatto con l’acqua? La risposta è semplice: non possono. Tuttavia… tuttavia in determinati casi e seguendo precisi accorgimenti, il contatto costante delle radici di una pianta succulenta con l’acqua può contribuire a salvare quella pianta. Anche se quella pianta è una succulenta. Ed è esattamente ciò che sto cercando di fare in questi giorni per salvare due Astrophytum asterias di mia semina in condizioni di disidratazione estrema, al limite della morte di sete (un bel colmo per dei cactus!). Ma andiamo per gradi e vediamo esattamente cosa è successo a queste due piante e come (e perché) sto cercando di salvarle attraverso una sorta di “idrocoltura temporanea”.

Spiego tutto con tanto di foto nell’articolo che segue, che considero – nei fatti – la descrizione di un esperimento forse azzardato e certamente poco ortodosso ma al tempo stesso non privo di logica. (…)

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Un rinvaso… mostruoso! Come scegliere bene un cactus e cosa fare subito dopo l’acquisto

Non amo particolarmente le succulente crestate, ma al tempo stesso non sono del tutto indifferente al loro fascino e ogni tanto qualche esemplare “mostruoso” finisce nella mia serra. Piccola digressione: se non sapete cosa sia una pianta “crestata” o “mostruosa”, nell’articolo raggiungibile tramite questo link troverete tutte le risposte. Premesso questo, nelle scorse settimane ho acquistato un cactus crestato da un vivaista specializzato in piante succulente. La pianta è in ottima salute e ben formata, ma il substrato, come quasi sempre accade quando si acquistano cactacee, è eccessivamente torboso, quantomeno per il tipo di coltivazione che ho adottato ormai da anni. Ho allora colto l’occasione per descrivere l’operazione di rinvaso di questo Myrtillocactus (in origine l’ho identificato così ma ora, grazie al commento di un lettore, ritengo sia un Cereus peruvianus), così da poter parlare di piante “mostruose”, di rinvasi, di substrati semplici e alla portata di tutti dal punto di vista della realizzazione e di buone pratiche da seguire quando si acquistano nuove piante.

Ecco allora il resoconto – corredato dalle foto dei singoli passaggi – del rinvaso di questo Cereus, con alcune considerazioni utili, per l’appunto, in merito a terricci, nuovi acquisti e cactacee crestate. (…)

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Scoperta nuova specie di cactus: “Copiapoa invisibilis”! Le eccezionali foto di una pianta… che non esiste più

A scanso di equivoci: il titolo è ironico e qui si parla di marciume, purtroppo. Nessuna nuova Copiapoa è stata scoperta e tantomeno lo è quella che vedete in questa foto e nelle incredibili immagini all’interno di questo articolo. Semplicemente, questo è quel che rimane di una mia Copiapoa cinerea marcita questo inverno senza che nemmeno me ne accorgessi. Quello che vedere altro non è se non l’armatura di spine che la pianta mi ha lasciato. Gli aculei sono talmente compatti e ravvicinati da mantenere perfettamente la forma della pianta (con tanto di fiore secco all’apice). Il fusto, semplicemente, non esiste più. E’ marcito ed è “evaporato”, sparito.

Ecco cosa è successo e, soprattutto, ecco le eccezionali foto di questa pianta, la cui sorte, peraltro, tocca di tanto in tanto anche agli esemplari in habitat, come mi è capitato di vedere in alcune foto online e una volta, direttamente, con un giovane esemplare di Ferocactus in occasione di un mio viaggio in Messico. (…)

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